Paolo Jannacci – Scusate il disturbo
Paolo Jannacci: Normalmente Straordinario
È sempre la solita storia, il primo pensiero che si fa quando si parla di Paolo è sempre il stesso: ah, il figlio di Enzo Jannacci. Vero, ma solo per via di un atto sessuale (presumibilmente amoroso) tra un uomo e una donna. Casualità. Per una volta dimentichiamolo.
Paolo è un artista anomalo, e non perché non ha tatuaggi e si pettina, ma perché in controtendenza con apparenze e contenuti “usa e getta” dello show business. È un outsider nell’anima, che ha dovuto imparare a convivere con il quotidiano confrontarsi con i confronti degli altri. Un artista dotato di talento e classe musicale che lo fanno sembrare una sorta di Benjamin Button della musica.
Oggi esce con un nuovo lavoro. Un album doppio -tra jazz, pop, passato e canzonette -come il salto che da artista ha finalmente deciso di fare. Per la prima volta canterà. Tasso di difficoltà alto se consideriamo il paragone che viene naturale e ci rimanda alle prime righe.
In questa intervista, Paolo si rivela uomo e artista capace di essere straordinariamente normale o forse è il caso di dire -nonostante questa nostra era -normalmente straordinario, e ci racconta, perché alla fine, ne vale la pena
Partiamo dal disco in uscita
Doveva essere triplo. Disco pop, disco jazz intitolato “Hard Playing” e un dvd dello spettacolo tributo a mio padre, dove canto, anche inediti dall’album pop. Il disco “pop” ha una serie di collaborazioni -musicisti, attori, scrittori -che lo attraversano felici. È diverso da tutto quello che potete immaginare. Dimenticatevi Enzo, tutto il contrario del jazz: una bomba. Ma come spesso accade con la musica, un giorno sei nei negozi e l’altro ti dicono che è meglio aspettare. Io non mollo, e intanto esco con un doppio.
Saresti diventato ugualmente un artista anche se non fossi stato “figlio di”?
Si corre veloci. Impari il mestiere subito, hai la possibilità di essere ascoltato con più interesse, ma con grandi aspettative. Sono stato privilegiato, inconsapevolmente immerso in un certo modo di assistere alla vita. E credo che anche in risposta alle sollecitazioni o per difesa alla pressione del confronto obbligato o voluto trovare la mia forma di espressione. E poi, credimi, non sai quanto quel privilegio iniziale, rischi di pagarlo in termini di potenza espressiva, consapevolezza e autorevolezza. Forse una forma di psicoanalisi artistica. Ne avevo e ne ho ancora un bisogno estremo della mia piccola grande arte.
Perché non hai cantato da subito e poi come è successo?
Paura: del giudizio degli altri, di mio padre. Del fatto che non fossi in grado di esprimermi come lui. Dopo la sua morte cercavo un modo per rimanere in contatto e raccontargli qualcosa di me. E così ho iniziato a concentrarmi sulle storie che le canzoni raccontano. Prima, le canzoni, erano 90% musica e 10% parole. Potevano cantare “I love you baby, baby I love you” per tutto il pezzo che se musicalmente mi faceva impazzire, per me era comunque una hit.
Perché il jazz., non potevi fare come tutti gli adolescenti il punk rock?
Scegliendo il jazz ho fatto una curva a gomito rispetto a tutto quello che l’intorno si aspettava da me. È stato un essere contro i pensieri di nepotismo, lo smarcarsi dai continui confronti. La ricerca di una mia forma d’espressione e forza benevola di cui beneficiare: per stimarmi e amarmi. E poi, nel mio immaginario, il jazz è come la pittura, che è forse la forma d’arte che più apprezzo. Esteriorizza la tua soggettività. Chi sceglie di ascoltarti sta facendo lo sforzo di avvicinarsi e cercare di capirti. Che è una sensazione bellissima.
Ma è vero che il jazz non piace alle donne?
La musica brutta non piace alle donne.
Ti sei mai scontrato con Enzo?
Da adolescente, duramente su tutto. Non sono un genio come era lui e facevo fatica a stargli dietro. Nel rapporto tra noi io ero quello quello che cercava di far quadrare le cose, di mettere la cornice migliore. Mettevo paletti, anche troppi, alla sua esuberanza. Pensavo di proteggere la sua arte. Ma la scatola che costruivo era sempre troppo piccola. Ci sono voluti anni perché riuscissimo a comprenderci e lasciarci liberi di esprimere quello che eravamo. A quel punto ho capito che ero stato fortunato a incontrarlo e addirittura poterci lavorare, e l’ho amato tantissimo. Penso sia successo anche a lui.
E tu che padre sei?
Parlo molto con Allegra. La tratto come un adulta, ma piccola. Cerco di spiegare ogni cosa. È molto più intelligente di me e dotata musicalmente, ma ha già deciso che non farà il mio lavoro, perché dice che siamo diversi. Sa che sono unmusicista, ma il motivo, che per lei segna la differenza con i papà delle sue compagne, è che vengo riconosciuto per strada. A casa per lei sono “il tecnico”, mentre sua madre è “il capo” e lei è “la musa”. Quando è nata, la prima cosa che le ho detto è stata: “tranquilla è tutto sotto controllo, credo”.
Sei stato un ribelle?
La nostra famiglia era ribellione. Tutto quello che faceva Enzo artisticamente (chepoi era anche il suo vivere la famiglia, gli amici) era spesso fuori dagli schemi. Unafonte costante di espressività. Immaginati il delirio: casa nostra tra la fine dei settanta e i primi anni ottanta non era diversa -con tutto il rispetto -dalla factory di Warhol o dal Chelsea Hotel. E con mia madre che cercava di contenere i danni. (ride di gusto)
Tatuaggi?
Nessuno a parte i trasferibili che mi fa mia figlia. J-Ax dice che sono più rock’n’roll io sotto giacca e cravatta di tanti che si coprono di tatuaggi. E nemmeno mi drogo. Ho fatto qualche prova da ragazzo, ma non sono andate a buon fine. Noi eravamo degli sfigati veri. Andavo in discoteca e per cercare di far colpo con le ragazze facevo la break dance: non ero male, ma non bastava. Allora per darmi un tono, una volta provo a fare un paio di tiri: ho vomitato sulla gonna della tizia che avevo di fronte. Mi sono sentito così stupido che non ho mai più toccato nulla.
Con J-Ax e Fedez sembrate lontani anni luce, musicalmente. Come è nata la vostra collaborazione?
Sono libero da sovrastrutture. Non mi interessano apparenze o sentito dire. Con Ax ci siamo incontrati vent’anni fa. Mi chiamò per suonare una fisarmonica su un suo pezzo. È un artista che ha una visione immediata dell’obiettivo da raggiungere, un vero regista: dovrebbe fare cinema. È una persona sincera a cui voglio davvero bene. Fedez, invece, ha la sensibilità dell’artista e la produttività dell’imprenditore. È il prototipo del nuovo virtuoso. Dalla stima reciproca sono nate varie collaborazioni e ultima la mia presenza nel loro tour. Qui tutti mi coccolano e ironicamente mi ostentano. (ride)
Raccontami di quando hai lavorato con Sofia Coppola e cosa è successo con Polanski.
La Coppola stava girando alcune scene di “Somewhere”in Italia. All’ultimo momento ha bisogno di una canzone originale e grazie a un amico produttore vengo chiamato. Un colpo di fortuna, però è anche vero che avevo fatto belle colonne sonore per il cinema in Italia e iniziavo ad essere autorevole. Per farla breve: la incontro, compongo e realizzo, le risolvo il problema. Per sdebitarsi mi introduce con una serie di contatti dell’industria cinematografica. Figata. chi non sogna Hollywood? Volo a Los Angeles e mi vedo con Lionsgate, un paio di indipendenti super quotate, Disney e ABC, insomma roba grossa. Mi vedo già sul red carpet. Tutto va alla grande, tanto che mi viene chiesto: “con chi avresti piacere di lavorare?”. Black out cerebrale. Voglio un nome che mi permetta di fare sfoggio di ricercatezza e cultura. Polanski dico, quasi facendo l’occhiolino. Il silenzio piomba nella stanza. Vengo congedato più rapidamente di un immigrato da Trump. Il buon vecchio Roman non può nemmeno entrare negli Stati Uniti, pena l’arresto.
Mainstream o indie?
Sono un indipendente di nicchia piccola. Ma mi piacerebbe essere mainstream. Guarda Manuel Agnelli con X-Factor. Io penso che abbia fatto bene ad accettare di farne parte. Polemica stupida quella del “perdi credibilità se vai a un talent”. Ma in quanto tempo avrebbe potuto ottenere la visibilità e la botta economica di una stagione televisiva? Quale artista non vuole raggiungere più persone possibili? Se hai talento devi spargerlo ovunque, per migliorare e rendere più bello l’intorno. Chiunque dice o pensa il contrario è invidioso o non ha abbastanza talento.
Sei uno smanettone da Social Network?
Ti dico questo, la ricerca più effettuata alla voce Paolo Jannacci, in rete, è: “Paolo Jannacci moglie”… Credo ci sia un punto di privato che tutti gli esseri umani dovrebbero mantenere tale. Non ho account social. Non sono interessato.
Quindi non vuoi diventare famoso?
Ma allora non hai capito niente: voglio diventare famoso e ricco, ma senza disturbare